la pietra di Bologna
LA PIETRA DI BOLOGNA
Per circa tre secoli, dai primi del Seicento all’inizio del Novecento, la città di Bologna deve il suo posto nella storia della chimica soprattutto ad una pietra, che da essa prese il nome, utilizzata per ricavarne fosfori, ossia materiali capaci di dare fosforescenza. Eppure, specialmente dal 12 dicembre 1711, quando fu fondato l’Istituto delle Scienze ad opera di Luigi Ferdinando Marsigli, al tempo del governo napoleonico che lo soppresse, non mancano motivi d’interesse verso la chimica bolognese. Basti ricordare, ad esempio, l’allestimento di una “camera” della chimica nell’Istituto suddetto, i contributi di Laurenti, Menghini, Valsalva, Vandelli e, soprattutto, quello di Jacopo Bartolomeo Beccari (1682-1766) medico, anatomico e chimico. Beccari, professore di fisica dal 4 dicembre 1711, passò alla cattedra di chimica, istituita per la facoltà medica con decreto del 16 novembre 1737, dando avvio, primo in Italia, all’insegnamento universitario della chimica corredato di parte sperimentale. Evidentemente, il pur celebre contributo di Beccari alla scoperta del glutine e altri suoi studi in vari campi, incluso quello dei fosfori, con l’ausilio di dispositivi sperimentali originali, non ebbero risonanza europea pari a quella della Pietra di Bologna. La Pietra colpì innanzitutto la curiosità e l’immaginario popolare, attirò verso la città l’interesse dei viaggiatori, ispirò testi letterari, suggerì teorie più o meno fantasiose e alimentò numerose dispute scientifiche. La data della scoperta delle singolari proprietà della Pietra di Bologna non è nota con esattezza. Tuttavia, secondo gli storici, si colloca fra il 1602 e il 1604. Essa viene generalmente attribuita a Vincenzo Casciarolo (o Casciorolo), un calzolaio bolognese che, secondo Camillo Galvani (1780), “si dilettava di travagliare nelle cose chimiche” e, passeggiando presso Paderno “per divertirsi da qualche sua naturale malinconia”, vide scintillare una pietra, la raccolse, la portò a casa, la fece cuocere e scoprì, forse casualmente, che mettendola al buio dopo averla esposta al sole, riluceva.
Composizione chimica
La pietra, cui furono attribuiti vari nomi (pietra fosforica bolognese, pietra di Bologna, pietra luciferina, pietra di luna, spongia lucis, lapis illuminabilis, lapis lucifer, phosphorus ecc.) è una varietà di barite o baritina (solfato di bario anidro), raggiata e nodulare, che una volta macinata, impastata con bianco d’uovo o altri leganti e calcinata su carbone, si trasforma in solfuro di bario. La figura, riprodotta da un testo di Luigi Bombicci (Corso di Mineralogia, G. Monti, Bologna, 1862), un autore che amava disegnare dal vero, ne fornisce un esempio che trova riscontro nei pregevoli esemplari conservati presso il museo a lui intitolato.
Preparazione e Proprietà
La prima citazione delle proprietà della pietra di Bologna è dovuta a Giulio Cesare La Galla (1612), mentre la prima descrizione dettagliata della preparazione di materiale fosforescente a partire da essa è di Pietro Poterio (Pharmacopea Spagyryca, Iacobi Montis, Bologna, 1622). Secondo Poterio, colui che per primo rese luminosa la pietra nell’intento di ricavarne oro, fu un noto alchimista di Bologna, Scipio Bagatello. Il nome di Casciarolo non compare nel lavoro di Poterio. L’attribuzione della scoperta al “chimico” Casciarolo è di Majolino Bisaccione (1582-1663) e Ovidio Montalbani (1602-1671), in due lettere pubblicate nel 1634. Quest’ultimo, addirittura, propose di chiamare la pietra “lapis casciarolanus”. Il riconoscimento pieno a Casciarolo venne da Fortunio Liceti (o Licetus) (1577-1657), nell’opera Litheosforus sive de Lapide Bononiensis, pubblicata a Udine nel 1640. Secondo Liceti, fu appunto Casciarolo, uomo di umili condizioni, che trovò la pietra, ne scoprì le proprietà e la mostrò a Bagatelli. Questi ne parlò a Magini, professore di matematica a Bologna, il quale ne mandò campioni a vari scienziati, tra cui Galileo Galilei, e ad alcuni sovrani europei. Tutto ciò rese rapidamente famosa la pietra, indusse a riprodurre il procedimento di preparazione dei fosfori e ad interpretarne il comportamento. Nacquero le ipotesi