L’estate che non ho vissuto
racconto a puntate sull’estate del 1964
di Roberto Porrelli
L’erba del campo dello stadio di Bologna doveva essere morbida quel pomeriggio di maggio. Nell’anno del signore 1964; Marino Perani si era spostato sulla fascia sinistra, anche se notoriamente giocava sulla fascia destra: il difensore della Lazio lo aveva atterrato; era difficile fermare Perani, aveva un dribbling stretto e imprevedibile, glielo aveva insegnato un allenatore slavo (un certo Karl Adamek) quando ancora giocava a Bergamo.
Nel ‘64 a Bologna si respirava quell’odore di un dopoguerra appena dimenticato, e pensieri leggeri di un gran bel momento di vita. Le cicale, con il loro canto inebriante e aggressivo scandivano il tempo in quella estate. Nel pomeriggio di una domenica, il mangiadischi sul comò, la finestra con le persiane socchiuse, la voce sofferta di Celentano che canta 24.000 baci. Io quell’estate non l’ho vissuta…non ero ancora nato, però i miei ricordi di quando ero piccolo non sono poi così lontani da quell’anno, e attraverso loro immagino il sessantaquattro.
Negli anni settanta la voce della notte era quella del telecronista Paolo Rosi, che commentava l’atletica e soprattutto la boxe che mio padre ascoltava in cucina di notte. Anche la voce del telecronista sportivo di tele Capodistria mi è ancora viva nella mente, o la sigla del telefilm Mash, che si svolgeva durante la guerra in Viet Nam. Era triste, ma con dei risvolti comici, mi attraeva e non so il perché.
In quel pomeriggio del maggio 64, l’arbitro aveva fischiato: calcio di rigore! Non potete immaginare cosa era successo a Bologna pochi mesi prima: l a nostra squadra di calcio era in testa alla classifica di serie A e giocava un calcio meraviglioso; dopo la vittoria in casa del Milan, sono piovute sulla nostra squadra accuse di doping, ovvero l’accusa ai giocatori del Bologna di essersi drogati. Ma quel zibaldone all’italiana si è già risolto a favore del Bologna e le discussioni al bar Otello o nei bar di periferia sono già proiettate alla partita con la Lazio. Se il Bologna vince e l’Inter perde o pareggia siamo campioni d’Italia! Ma l’Inter è la squadra campione d’Europa; da pochi giorni ha distrutto il Real Madrid e se si va anche allo spareggio sarà impossibile batterli.
Queste discussioni mia madre non le poteva sopportare; inoltre lei in quegli anni lavorava nella zona della stazione dove il presidente del Bologna calcio, Renato Dall’Ara, aveva un sacco di appartamenti e vi faceva alloggiare molti suoi giocatori, e ovviamente la zona era un pò il centro della vita calcistica bolognese. Facile immaginare che l’argomento unico fosse il calcio e tutte le sue derivazioni…
Che profumo, che atmosfera che si poteva respirare a Vienna quella notte di maggio; nello stadio di quella affascinante città molti personaggi conosciuti nel mondo del pallone si incontrarono sul prato del “Prater “. Chissà con quale giacca e pantalone si presentarono i giocatori prima della partita, a perlustrare il campo. Sandro Mazzola, Suarez, Corso, Picchi, Facchetti, Burnich, per citarne alcuni, dovevano sfidare per l’ambitissima finale di coppa dei campioni il mitico Real Madrid, dove giocava gente come Puskas, Gento, Di Stefano e Santamaria. L’Inter aveva tra l’altro appena eliminato il Liverpool e si preparava a questa sfida mentre si trovava anche in testa al campionato italiano, a pari punti con il Bologna. Ebbene in quei giorni le discussioni su chi fosse più forte fra Mazzola e Rivera si erano placate: Mazzola aveva trascinato l’Inter alla vittoria nettissima sul Real Madrid, e si preparava a conquistare scudetto e coppa intercontinentale. Qualcuno a Bologna sosteneva che invece dei due “milanesi” fosse più forte il bolognesissimo Bulgarelli; meno fantasioso ma più tattico, dinamico, intelligente.
SECONDA PUNTATA
In quel maggio del ’64 un signore di una certa età saliva sicuramente sul 31, che andava dall’Arcoveggio a San Michele in Bosco passando per il centro. Appena salito avrà detto al bigliettaio: “le’un bel cheldd” (in dialetto bolognese: è’ un bel caldo, cioè un gran caldo). Il bigliettaio, che era ancora una figura consueta a quei tempi e fino a metà degli anni 70, avrà risposto sorridendo, manovrando quegli stupendi blocchetti di biglietti azzurri che a noi cinni piacevano tanto. Il 31 era, anche quando ero piccolo io, una di quelle vetture di color verde con l’autista a destra e due sole porte per la salita e la discesa. Ricordo anche di aver visto multare due ragazzi perché erano scesi dalla porta dietro: altri tempi. Poi c’era l’autobus “lungo” che non era altro che il famoso filosnodato o autosnodato..; aveva nel punto dello snodo una piattaforma girevole con quattro sedili, che era per me un’altra attrazione, e aveva al contrario degli autobus doppi di adesso solo tre porte, anziché quattro: ovviamente funzionava meglio il flusso della gente, perché si saliva dalla porta dietro, e si era obbligati a portarsi avanti per scendere. Negli autobus di oggi, il genio che li ha progettati, non ha considerato che salendo dalle porte estreme, cioè da quella dietro e da quella davanti ed essendo obbligati a scendere da quelle centrali, rimangono la parte centrale dell’autobus vuota e le zone di entrata stipate. L’autobus lungo era il 41 che andava a Borgo Panigale mentre il 42 faceva via Andrea Costa in zona stadio. Andare in zona stadio, ai tempi dei miei tredici /quattordici anni voleva dire andare a vedere il Bologna, spesso al velodromo, il giovedì dove si allenava. Appena arrivavo cercavo con lo sguardo l’allenatore di quegli anni, Pesaola, detto il petisso. Credevo che fosse un soprannome che voleva dire il cattivo, il comandante.. non so, invece significava il piccoletto. Nel campionato 78/79 il Bologna di Pesaola andava male e la società lo sostituì con Marino Perani; il nuovo allenatore trasformò il gioco della squadra, e anche se non ottenne i risultati che sperava impressionò noi ragazzi della curva per in modo nuovo in cui faceva giocare il Bologna. Perani è il vero pioniere del calcio attuale, e ha gettato le basi del tatticismo moderno. Tutto questo attingendo a tattiche degli anni 50 /60 come la reintroduzione del centro mediano. Giocatori che facevano i mediani sulle fasce, due centrali e un libero completavano il nucleo della squadra. Tanti allenatori lo copiarono negli anni a venire ma pochi gli riconoscono questo merito. Purtroppo anche lui venne sostituito e Cervellati con il cuore (diciamo così…) salvò il Bologna dalla retrocessione. Perani l’anno dopo diverrà comunque l’allenatore del Bologna.
Nel maggio del sessantaquattro l’atmosfera doveva essere ben diversa….Perani atterrato in area procura il calcio di rigore. Batte Haller, il tedesco con la maglia numero dieci: gol. Alla fine qualcuno fa credere al nostro anziano presidente che l’Inter non ha vinto e il suo cuore ha un sussulto: non è vero, anche l’Inter vince e quindi si deciderà il campionato con uno spareggio che si giocherà a Roma.
In quei giorni a Bologna non si parla d’altro anche se la vita scorre normale. Quasi certamente, il bar latteria, in zona Croce di Casalecchio, faceva quell’odore di latte che oggi è quasi un sogno. I pietrini azzurri, la spuma da trenta o cinquanta lire; la signora Paolina aveva anche quei gelati finti, colorati di spumino (tipo meringa), e quelle boccette di plastica con un liquido giallo o rosso dolce e affascinante. Le “chicche colorate” ovvero gli Smarties, erano il premio se, andando dal dottore facevo il bravo. Ecco vorrei tornare in dietro nel tempo, solo per sentire le discussioni al bar Rosina, negli anni sessanta. Probabilmente assomigliavano a quelle del settanta alle quali ho assistito. Al bar Rosina d’estate, si passavano le sere seduti sulle sedie a mangiare il gelato. Fra un Algida o un Eldorado (io preferivo i secondi) il tempo era scandito dal passaggio del treno merci e dalle bocce del biliardo che scendevano dalle mani dei giocatori per andare a punto. Il rumore del frigo dei gelati che veniva aperto e chiuso aveva anch’esso una sua importanza: pensate che anche adesso, a distanza di trent’anni, quando appoggio la testa sul cuscino sento quel rumore; cosa vorrà dire non lo so….. Davanti al bar, ancora oggi corre al livello della strada un binario, sul quale passava il treno “della manifattura”; in passato era una importante linea per Bologna, in quanto collegava la città a Pieve di Cento. Il treno che ci correva poteva portare barbabietole e operai dalla campagna allo zuccherificio in via Zanardi, passando anche sopra alla via Matteotti con uno sconosciuto ai più passaggio a livello appena prima del ponte di Galliera.
TERZA PUNTATA
Notte, giugno del 64. Il signore del terzo piano non riesce a dormire. E’ un caldo da ferragosto, non si muove una foglia sulla scarpata della ferrovia; i rami degli alberi d’acacia sono fermi. Nel silenzio totale un merlo fa a brevi tratti il canto dell’usignolo: lui lo sa, lo ha visto tante volte quando si alzava dal caldo che faceva a letto.. Pensate che Tredicini, del quarto piano, ha la terrazza che guarda sui terrazzoni interni, coperti di catrame: ha un caldo in casa che apre la porta sulle scale, mette un telo per terra a e dorme lì….a cavallo fra l’uscio e il corridoio… Dicevamo del silenzio. I suoi passi, con le gambe intorpidite dalla stanchezza lo portano vicino al frigorifero: apre, la bottiglia d’acqua con l’idrolitina è bella fresca. Il rumore del tappo che si apre e dell’acqua che scende nel bicchiere è uno spettacolo dal gusto notturno. Potete immaginare il gusto nel bere tutto d’un sorso, quelle fresche bollicine. Oggi è domenica …7 giugno… il Bologna gioca a Roma… quei matti che partono stamattina… chissà. Ma il Bologna non lo faranno mai vincere.. Bologna è rossa… no no… boh? Poi l’Inter è troppo forte… Mazzola, Facchetti. Ha fatto fuori il Real Madrid…!!! Il signore del terzo piano non immagina che quello stesso giorno, il mitico Indipendente di Buenos Aires farà cinque gol al Millionarios, vincerà la coppa dei campioni del Sud America, ma verrà distrutto da quella macchina da guerra dell’Inter… Bologna vecchia Bologna.. Però … mentre si sta per riaddormentare… pensa… oh, in porta abbiamo “carburo”(il portiere Negri, titolare della nazionale!) poi Haller.. chissà.
Bologna, vecchia Bologna. Girando fra un portico e l’altro non si può avere la realtà di cosa è Bologna. Pensate… Il centro storico più grande del mondo; primato conteso con Genova, Palermo e Napoli. In questo posto unico al mondo, ornato in modo sempre unico da una miriade di antichi portici, fra cui, quello che porta alla Madonna nera di San Luca, è il più lungo esistente sulla terra. Nel mondo romano era stato individuato, in un isolotto del nostro fiume Reno, il centro del mondo! Lì i triunviri si spartirono tutte le terre conosciute. Sempre nella nostra città il papa Gregorio tredicesimo, lanciò il calendario che buona parte del mondo usa. Il calendario nasce per un volere e una tradizione bolognese; Gregorio tredicesimo, ovvero il bolognese Ugo Boncompagni, decise che per riassestare il vecchio calendario, dopo il giorno 4 ottobre 1582 si passasse al 15 0ttobre! Pensate che fu scelto il 4 ottobre per non privare ai bolognesi di festeggiare il loro santo Petronio in quell’anno! Furono in pratica dispersi nel nulla dieci giorni. Nella nostra città sono stati compiuti i primi studi sull’elettricità (Galvani e Volta), e sul motore a scoppio, essendo stato inventato da noi il giunto cardanico che è alla base del motore. Inoltre non si può negare che la moderna tecnologia della comunicazione non derivi nettamente dall’invenzione della radio del bolognese Marconi…. Ricapitolando: calendario, elettricità, radio, motore. La vita moderna, nata in una antica e misteriosa città, una delle uniche almeno in Italia a non avere un fiume nel suo centro; il torrente Aposa è un rigagnolo d’acqua che oggi scorre sotto la città, e non possiamo paragonarlo ai grandi fiumi delle altre città. Per finire in bellezza, tornando al calcio pensate al caratteristico dribbling con doppio movimento delle gambe di Ronaldinho, che anche Pelè non disdegnava; lo ha inventato negli anni trenta l’ala del Bologna e della nazionale Amedeo Biavati. La maglia numero sette di un Bologna magico e fascinoso, dopo Biavati e il piccolo, grande Cesarino Cervellati, e ora si trova dentro una borsa che sta andando verso lo stadio olimpico.. è mezzogiorno del 7 giugno. I giocatori del Bologna devono nutrirsi e allo stesso tempo non devono appesantirsi… e credo che lo stesso problema lo abbiano anche quelli dell’Inter…. A casa Zocca in via Raimondi non si fa nessuna dieta.. anzi. Anche se è caldo, alle lasagne non si può dire di no. Qualcuno si è portato al mare un paio di panini con la cotoletta… altro che insalata di riso.
Quando andai per la prima volta in gita, con la scuola, anche a me mia madre mi preparò i panini con la cotoletta e la maionese e da bere la novità era l’ “Estathé”… naturalmente al limone; era divertente bucare quel bicchierino e bere. In quella gita, a Firenze accadde una cosa storica: mentre tutti eravamo intenti a scartare i vari panini e tramezzini, Giulio Bignami si presentòcon un grande termos, lo aprì e con un cucchiaio di metallo cominciò a mangiare i tortellini in brodo! ancora caldi!!
QUARTA PUNTATA
In quel maggio del 64 c’era anche chi pensava poco al calcio. Si cominciavano a fare le prime gite al mare quelle domeniche, in cui il sole cominciava ad essere più caldo. Certo che se avessi avuto un paio di amiche per andare a passare una giornata al mare non sarei andato a vedere Bologna- Lazio…. no di certo. Una bella cinquecento color caffelatte con la cappotta aperta, un paio di panini e via verso Riccione o Cesenatico. In quei tempi i bar sulla spiaggia avevano la terrazza sul tetto, i tavolini e il jukebox con moltissimo twist all’italiana. I miei primi ricordi di gite al mare appartengono già agli anni settanta. Si partiva il primo di luglio, con la Renault 4 carica all’inverosimile, si stava via un mese e l’arrivo al mare era emozionante. Quando arrivo a Misano Adriatico, e vedo la casa sulla spiaggia provo anche adesso la stessa emozione…. Mio padre tornava a Bologna per lavorare e veniva al mare il fine settimana. Quando arrivava mi portava sempre qualcosa di buono: o una cioccolata, o qualche gioco che avevo richiesto con la tipica telefonata dalla cabina a gettoni, che magari non avevo portato. Nel venire al mare faceva sempre la “strada normale” ovvero la via Emilia e si fermava sempre a Capocolle a bere il caffè. Capocolle è anche detto “mont spache’” ovvero monte spaccato: infatti la via Emilia in quel tratto di strada “tocca” l’appennino, anzi per essere precisi lo attraversa. E’ l’unico punto in cui l’appennino tocca l’antica strada romana. Ebbene anch’io quando vado al mare mi fermo a bere un caffè nel vecchio bar vicino alla montagna spaccata come faceva mio babbo. Il profumo del mare, negl’anni sessanta, i rumori, le canzoni, le voci li posso solo immaginare. I miei ricordi partono da un’immagine molto confusa ma posso provare a descriverla: era la prima volta che andavo in spiaggia e avrò avuto tre anni? in mezzo alle mie gambe sulla sabbia una paletta, i calzini ai piedi, mio padre che mi aveva accompagnato, mentre io giocavo si guardava attorno. I rumori, le voci gli odori sono più nitidi, ad esempio, quando si andava a trovare la zia Laura nel suo negozio: era la tripperia di via San Vitale, proprio dentro alla porta detta del mille, il torre sotto, appunto che si affaccia alla piazza Aldrovandi. Il bancone era molto alto, di marmo. Mia madre mi ha confermato il dubbio; non era alto il bancone ma ero io che ero piccolo piccolo. Mia zia vendeva trippa e frattaglie, cioè interiora. Chissà che mangiata di trippa si saranno fatti in casa Zocca in quegl’anni. Che tocciata di pane nel sugo mi sono perso…Be’ oltre ai sapori… gli odori: che odore ci sarà stato a Fregene, vicino a Roma in quel giugno? Il Bologna è in ritiro per preparare lo spareggio scudetto: deve affrontare la blasonata Inter campione d’Europa. Marino Perani mi ha spiegato che in quegl’anni il Bologna era abituato a comandare la partita. Quando lui crossava dalla fascia laterale era sicuro che Pascutti in qualche modo si sarebbe reso pericoloso e in ogni modo, con la sua forza e grinta animalesca avrebbe fatto qualcosa di buono. Anche oggi in ogni bar che si rispetti deve esserci la foto in bianco e nero del gol in tuffo contro l’Inter di Pascutti, che in volo, parallelo al terreno anticipa Burnich .
Pensate che l’ultimo scudetto, il numero sei, il Bologna lo ha vinto negli anni 40, prima della guerra e Dall’Ara era già presidente. Quante battaglie avrà fatto l’anziano presidente; quante persone avrà visto, giovani promesse, vecchi allenatori,g iornalisti cattivi: e quanti soldi ed energie per portare a Bologna un altro scudetto .Vittorie mancate per un soffio, stranieri scappati, furibonde litigate. E ora ? c’è solo una partita, la più difficile, la più importante, in campo neutro. Vorrei saper scrivere un romanzo per poter raccontare quello che successe in quei giorni: Dall’Ara discute animatamente su questioni economiche, con il presidente dell’Inter Moratti (padre dell’attuale presidente). La discussione si accende, l’eccitazione è tanta, perchè Dall’Ara ci crede vivamente a quel traguardo inseguito da più di vent’anni, e …. fra due giorni c’è la partita. Dall’Ara si sente male, e muore improvvisamente. Non voglio commentare oltre. Io nel sessantaquattro non ero ancora nato. Nascerò un anno dopo, sempre d’estate. Io non ho mai vinto uno scudetto con la mia squadra del cuore, nella mia città. I romani quando otterranno la loro grande vittoria negl’anni ottanta e vinceranno lo scudetto si abbracceranno al circo massimo con le canzoni di Venditti. Io ho quarant’anni suonati, come si dice da noi, e non credo che vincerò mai uno scudetto.
quinta puntata
Lasciata questa malinconia mi consolo pensando…. che comunque gli anni settanta me li sono goduti, da cinno spensierato, con il solo “problema “di giocare e divertirmi. Gli anni settanta, soprattutto i primi sei-sette, sono stati così belli che nella testa abbiamo, io e molti miei coetanei, impresso ricordi di ogni piccolo dettaglio. Consiglio agli appassionati di quel periodo un sito internet che si chiama Pagine 70, una vera enciclopedia di tutto quello che c’era, comprese le cose più assurde e inutili che però per noi erano importantissime.
Un sabato a pranzo come tanti altri: forse mia madre si era scocciata di far da mangiare anche al sabato, allora si andava al centro Marco Polo a comprare il mangiare in rosticceria. Io sceglievo tortellini alla panna oppure le lasagne; non erano buoni come quelli fatti in casa, ma mi piaceva il fatto di mangiarli dentro ai contenitori in polistirolo e alluminio. Credo che sia per i contenitori che a molti piaccia mangiare ai fast food, non certo per il cibo. A quell’ora a tavola si guardava un programma stupendo e mitico: ”Oggi le comiche” dove la voce di Renzo Palmer raccontava le comiche dei vari personaggi degl’anni 20 e trenta. Poi dopo il telegiornale le previsioni del tempo; immancabilmente, nella lettura delle temperature all’estero, Rosanna Vaudetti, pronunciava la frase che nel corso del pomeriggio avremmo ripetuto all’infinito: Istanbul non pervenuta. Bisognerebbe sapere perchè quella temperatura non arrivava mai alla Rai… Nel primo pomeriggio si poteva ridere ascoltando la Corrida (“dilettanti allo sbaraglio”, presentata da…Corrado). Si attendeva con ansia che qualcuno che si esibiva fosse tanto stonato da uscire di scena con una sirena tipo ambulanza, e questo capitava spesso. Le voci e la sigla di Alto Gradimento rappresentavano un altro momento bello della giornata; la sigla era un rock che non ho più risentito, e le voci quelle di Arbore e Boncompagni che presentavano i personaggi più’ vari e che a noi cinni facevano morir dal ridere… ma anche i grandi non disdegnavano….
Nell’estate del sessantaquattro, i bambini avevano giocattoli e giochi ancora più belli. Adesso rivedo i giochi degli anni settanta con fascino enorme, ma nel settantacinque c’era un ulteriore fascino per i giochi dei cinni più grandi; quel fascino riesco a riviverlo con il pensiero anche ora. Erano i giochi di quei bambini nati fra il 55-56 e il 60-61… si… erano i giochi degli anni sessanta. Per noi appassionati anche di calcio il re dei giochi era il Subbuteo. Un gioco di origine inglese con un bellissimo panno verde e un’infinita serie di miniature di giocatori, dipinti a mano con tutte le squadre del mondo rappresentate. Si giocava colpendo il giocatore con la punta del dito e si facevano tornei serissimi. Negl’anni sessanta inventarono questo gioco con mezzi molto primitivi. Il campo era un pezzo di legno disegnato e i giocatori dei bottoni. Forse da questo confronto che può sembrare un semplice particolare si può provare ad immaginare come fosse quel mondo. Semplice ma ricchissimo di voglia di crescere.
sesta ed ultima puntata
L’alba di quel giorno d’inizio estate era appena cominciata. Forse alcuni si ricordano di quel momento. Forse, non tutti si ricordano che i primi albori si chiamano aurora.
Qualche piccione svolazza sui tetti delle case abbandonate lungo il Navile, alla Beverara. Qualche passerotto scandisce con il suo verso quel mattino. L’acqua del Navile scorre sotto il ponticello della chiusa del Battiferro. Se guardi il cielo, l’alba è sempre simile: oggi come nei secoli scorsi, e come nell’estate del 64. Giugno, per la precisione. Percorrendo l’incrocio di via Beverara con la via Gagarin il vecchio salice piangente ara ancora lì, bello, con un’infinità di rami che ricordano un fuoco artificiale di ferragosto. Il rumore di un treno in lontananza copre il rumore della bicicletta. Un uomo, portava a spasso il cane, il guinzaglio in pelle marron consumata. L’aria, leggermente frizzante si preparava a diventare calda, caldissima; anche se era giugno era estate piena.
Non potevi guardare la tua città, quel giorno, senza pensare che quell’uomo, bolognese di adozione, e anche di spirito e di cuore, era morto. Ieri, al ritiro di Fregene qualcuno piangeva. Era una delle fortissime emozioni, che in quei giorni metteva a dura prova quel gruppo di ragazzi, forti , tosti e ricchi. Il loro allenatore, Fulvio Bernardini era oltretutto romano, e giocando all’olimpico uno spareggio scudetto contro l’Inter, doveva vivere quei giorni in modo unico.
La maglia numero sette, viaggiava dentro quella valigia, marron di pelle consumata. Quella maglia dalle grandi fasce rosso e blu, era uguale a quella di Schiavio e Biavati… eroi di un epoca così lontana, ed era uguale a quella che pochi anni prima era stata di Cesarino Cervellati. Fra poche ore, quasi sicuramente la indosserà Marino Perani. L’ala destra, un ruolo che ormai non esiste più: Perani ricalca con estrema precisione quell’affascinante posizione. L’ala destra, con il numero sette, è un simbolo delle certezze degli anni sessanta e settanta. Inoltre Marino ha la certezza di indossare quella maglia nella grande partita. Nella mia mente, una maglia del Bologna con il numero sette è quella che indosserà il sardo Rosario Rampanti negli anni settanta, così come una maglia del Bologna con il numero nove porta alla mente Beppe Savoldi. Sono quelle certezze, che sembrano superficiali ma in realtà rappresentano un epoca più certa, senza le confusioni di oggi. In realtà Fulvio Bernardini in quei momenti ha dieci certezze…. e un solo dubbio. Con il numero undici avrebbe dovuto giocare Mimmo Renna riserva di Pascutti infortunato ma il tecnico romano decide per il terzino Jonny Capra.. Lo spogliatoio dello stadio olimpico, fa uno strano odore di disinfettante, e le luci entrano forti e fastidiose dai piccoli finestrini. Il secondo allenatore, il fido aiutante di Bernardini è proprio Cervellati. E’ piccolo e riccio di capelli, e da poco tempo ha appeso le scarpe al chiodo, come si dice nel mondo del calcio. Quella maglia fra le mani, è la numero sette; chissà quanti ricordi gli passano veloci e intensi in quel momento. Un po’ d’ invidia, gli sfiora la mente mentre guarda Marino Perani che sta indossando le scarpe chiodate. Poi appende la maglia dietro alla sua schiena e gli da una pacca sulla spalla. E’ un momento semplicemente unico: lancia frettolosamente la maglia numero otto a Giacomo Bulgarelli, qualche battuta fra i due è d’obbligo. La maglia numero nove e la numero dieci erano già indossate dai due stranieri che nel frattempo discutevano di qualcosa. Uno è castano, e discute con il sorriso sulle labbra: si chiama Harald Nilsen ed è Danese, ma tutti lo chiamano “dondolo”. L’altro è biondo ed è tedesco, è più teso in quel momento e sbuffa per il caldo. Cervellati lo tranquillizza: il dottore farà loro dei massaggi con il talco mentolato. Haller il fuori classe titolare della nazionale tedesca non capisce. Bulgarelli spiega con ironia: talco alla menta, rinfresca! Come lo volevi alla birra? Risata distensiva, proprio nel momento in cui entra il mister: ma Bernardini ha un obbiettivo; si dirige verso Johnny Capra, un giocatore che solitamente siede fra le riserve; guarda Cervellati e si fa consegnare la maglia numero 11. Renna si sente gli occhi addosso, ma sapeva già che quel sospirato e atteso giorno non giocherà. Bernardini spiega a Capra i segreti del suo ruolo quel giorno. Deve coprire gli spazi morti sulla fascia sinistra, deve fare una partita di sacrificio. Loro, gli interisti sono forti in quella zona. Hanno fatto fuori Liverpool e Real Madrid. Sono i campioni d’Europa, hanno mezza nazionale in campo: Perani osserva in silenzio: non sa che l’Inter dopo la coppa dei campioni vincerà la coppa intercontinentale, abbattendo una squadra leggendaria come l’Indipendiente, ma il campionato è il campionato. Perani come Bernardini sarà un inventore di calcio. Addirittura sarà un pioniere del nuovo calcio, senza che i grandi media lo rendano noto. Ma io so, che Perani, da allenatore sarà il primo a giocare un calcio nuovo, ispirandosi al passato. Moltissimi lo copieranno. Bernardini, quel giorno di giugno, caldo, nella sua Roma, e i suoi ragazzi giocarono come si gioca solo in paradiso; renderanno nullo l’Inter di Milano, di Mazzola e Facchetti. Il Bologna comanderà interamente la partita ,e vincerà due a zero, Capra sarà l’elemento che gli interisti non capiranno mai. Quel giorno non riusciranno mai ad entrare in partita. Un sole chiaro batteva sulla camicia bianca di Fulvio Bernardini. Un aria calda da far venire i brividi in quell’estate, che non ho vissuto. Abbraccerò qualcuno dopo aver vinto uno scudetto?