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Reintegratore di eventi

Una stazione sotterranea nelle viscere dell’appennino

Mio padre (classe ’24, autore del Plastico di Querceto e Pian Ginestra) mi raccontava della “stazione in galleria”. Era nella “Grande Galleria dell’Appennino” tra Bologna e Firenze, inaugurata quando lui aveva più o meno la mia età di allora: dieci anni. Così quando passavo nel lunghissimo tunnel tra Bologna e Firenze stavo per lunghi minuti incollato al finestrino, con gli occhi fissi nel buio, ipnotizzato dallo zig-zag delle strisce bianche che salgono e scendono sulla fiancata della galleria, attendendo il breve attimo in cui il tunnel si sarebbe illuminato, mostrando i marciapiedi della “Stazione in Galleria”. Poi si ripiombava nel buio, ma io, la mitica stazione, l’avevo vista!

E’ posta al Km.46+848. L’ingresso sud è al km.37+234, dunque il posto di blocco della stazione si trova a 9.614 metri dall’ingresso.

Essendo la Galleria lunga 18.507,38 m, l’uscita Nord é distante 8.893 m. Considerando che la stazione si estende per 450 metri in ciascuna delle due direzioni, il centro del tunnel cade proprio nella stazione (per la precisione nella sua sezione a nord, 90 m prima dalla fine della stessa).

La stazione nacque per mantenere la cadenza dei posti di blocco lungo la linea. Dato che la galleria era troppo lunga, occorreva avere un posto di blocco (il n. 12) al suo interno. In corrispondenza del posto di blocco, si previde di poter far cambiare binario ai convogli (così in caso di incidente o di lavori di manutenzione sulla linea, si poteva comunque usare il doppio binario per metà galleria, limitando la tratta a binario singolo all’altra metà. Inoltre, vista la lunghezza della tratta, si ritenne opportuno avere la possibilità di far fermare un treno lento (ad esempio un merci o un locale) per far passare un convoglio veloce (un direttissimo o un rapido): quello che in gergo tecnico di chiama una “precedenza”. In corrispondenza di questo posto di blocco fu costruito uno slargo del tunnel, chiamato “camerone”. Doveva ospitare il personale, gli apparati di controllo, i marciapiedi e l’imbocco dei due tunnel secondari a forma di banana che ospitavano i binari di precedenza.

Dunque ne nacque una vera e propria stazione, dotata di otto deviatoi semplici, due scambi inglesi, quattro tronchini di protezione e due binari di ricovero per i treni che cedevano il passo.

Occorreva dare un nome a questa stazione, che però non era legata ad una località geografica. Come chiamarla? Essendo nelle viscere della terra, si sarebbe forse potuto scegliere tra “Casa del Diavolo”, “Nero profondo” o “Anticamera dell’Inferno”… Più prosaicamente, ci si rifece alla funzione per cui era stata concepita, e così venne chiamata “Stazione delle precedenze”.

In realtà, un collegamento con un luogo fisico posto in superficie lo aveva. Precedenze era la stazione di Ca’ di Landino, un piccolo borgo, anzi, una frazione ormai disabitata o quasi a mezza strada tra Baragazza e Castiglione de’ Pepoli, e nel comune di quest’ultima località.

Cà di Landino nacque proprio per le esigenze di costruzione del tunnel. Lo scavo fu infatti fatto dall’ingresso nord verso sud, da quello sud verso nord e simultaneamente dal centro verso entrambe le direzioni. Trovo sempre incredibilmente sorprendente la precisione con cui si sapevano scavare tunnel lunghi anche in epoche in cui non c’era il supporto tecnologico di oggi.  Ad esempio, sull’isola di Samos si scavò (e senza esplosivi!) un tunnel rettilineo di oltre un chilometro, e lo si fece perfettamente inclinato di pochi gradi, visto che serviva come acquedotto: il tunnel di Eupalino. Era il sesto secolo avanti Cristo. Va bene che come geometra loro avevano un certo Pitagora… Comunque, a proposito di precisione: la Grande Galleria dell’Appennino è un rettilineo di 18 km perfettamente diritto, forse il più lungo rettifilo ferroviario italiano fuori dalla Padania. E se dall’ingresso non si vede la luce di uscita, è solo perché, per ragioni tecniche, il tunnel é leggermente a schiena d’asino.

A Cà di Landino vennero scavati dei pozzi inclinati di accesso che giunsero fino al centro della futura galleria, quindi proprio in quella che sarebbe poi divenuta la futura Stazione delle Precedenze. In corrispondenza dell’uscita dei pozzi inclinati sulla superficie nacque un paese, che divenne il luogo ove per anni vissero buona parte dei minatori e delle loro famiglie. Considerando che all’opera lavorarono circa 4000 minatori divisi in squadre che ruotavano con turni di 8 ore, e che probabilmente circa la metà era impiegata a Cà di Landino, il paese deve aver avuto una bella consistenza, visto che molti dei minatori avevano con sé anche le famiglie, e che inoltre vi erano persone che lavoravano  alla logistica. Il paese aveva poi refettori, scuola, chiesa, infermeria, barbiere…

Cà di Landino era raggiunto da una teleferica per il trasporto di materiale che partiva dall’imbocco nord del tunnel.

Dal paese, lungo uno dei pozzi inclinati, scendeva entro il tunnel una funicolare per il trasporto di uomini e materiale. L’altro pozzo serviva per l’aerazione, e forse per il pompaggio dell’acqua (che fu uno dei maggiori problemi nello scavo).A monte, due edifici sormontavano lo sbocco dei pozzi inclinati, e ospitavano i necessari macchinari.

 

16 dicembre 2017 di scalaenne